Il punto di vista del tuo personaggio, quando scrivi, è la guida migliore per selezionare dettagli, azioni e pensieri che rendano la tua storia emozionante e significativa. Ma che cos’è il punto di vista e, soprattutto, come usarlo?
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Cos’è il punto di vista nella scrittura immersiva
Abbiamo già parlato del Punto di Vista nell’articolo di introduzione alla scrittura immersiva. È uno di quegli elemento stilistici (assieme a flusso delle informazioni e gestione dell’empatia) che ci permette di far immergere il lettore nel nostro protagonista e, di conseguenza nella nostra storia.
Ah, a proposito: ai fini di questo post userò le definizioni “Personaggio punto di vista” e “Protagonista” in modo intercambiabile. Sì, esistono libri dove il personaggio narratore attraverso cui viviamo la storia non combacia con il protagonista della vicenda, ma sono eccezioni più rare di quanto crediamo e in questo post non copriremo tutta la narrativa mai composta dal genere umano dall’inizio dei tempi.
Cos’è il punto di vista nella scrittura immersiva? In soldoni il punto di vista di un personaggio è quello strumento che ci permette di filtrare le informazioni, i dettagli, i pensieri e le azioni da mostrare in una storia vissuta, non a caso, proprio da quello specifico punto di vista. È un passaggio fondamentale per far immergere il lettore in un personaggio che abita un particolare mondo narrativo, in modo che si identifichi con lui, e viva intensamente le emozioni che scaturiscono dalla sua storia.
Ma se bastasse questa definizione, i manuali di narratologia e scrittura sarebbero decisamente più corti. Vediamo nello specifico come funziona e come può aiutarci.
La go-pro sulla testa
A un livello molto superficiale, il punto di vista può essere visto come una telecamera montata sulla testa del protagonista, che vede quello che vede lui. Per quanto questo ci permetta di selezionare con precisione i dettagli visivi che il protagonista può percepire (solito esempio: durante la partita di poker, normalmente non può vedere le carte degli avversari, quindi non puoi scrivere cosa hanno in mano!), questa definizione è molto limitante.
Lasciando anche perdere i dettagli che scaturiscono da sensi diversi da vista e udito (il protagonista annusa, sente caldo, prova dolore, quello che è…), il punto di vista, per farci immergere nel protagonista, deve essere profondo e, in qualche modo, mostrarci i pensieri, le idee e i pregiudizi del protagonista. Immergersi significa identificarsi profondamente in qualcun altro o, meglio, diventare qualcun altro. Non spiarlo con una telecamera.
Pensieri, idee e preconcetti
Mostrare idee, pensieri e preconcetti si può fare in diversi modi, come spiego nel post sul flusso delle informazioni. Nello specifico il protagonista può esprimere pensieri diretti (si può fare sia in prima che in terza persona… anche se in prima di solito è più semplice).
Questi pensieri diretti dovrebbero essere in linea con la personalità, la storia e la vita del personaggio che funge da punto di vista. Pensieri diretti e semplici come “Queste cose mi fanno incazzare.” “Quanto vorrei essere come lui” “Ha ragione, ma non posso dargliela vinta” vanno benissimo.
Se padroneggi bene l’ironia drammatica, la capacità di comunicare al lettore informazioni che il protagonista non riesce a vedere (nonostante siano davanti ai suoi occhi), potrai creare un personaggio profondo con eleganza, senza spiattellare in modo troppo diretto i suoi pensieri, ma mostrandone i “sintomi”. Ma occhio: se esageri con l’ironia drammatica, rischi che il lettore si distacchi troppo dal protagonista e si fotta l’immersione (in questa recensione, una breve definizione molto chiara dell’ironia drammatica: la trovate a metà articolo, dopo la foto di Matt Damon che coltiva le patate marziane con la sua cacca).
Il filtro delle informazioni
Ma i pensieri diretti sono solo un modo per mostrare la personalità del protagonista. Il punto di vista funge da filtro delle informazioni, nel senso che bada solo ai dettagli a cui baderebbe il personaggio.
Se il protagonista entra in una stanza e spendi quattro frasi a descrivere ambiente, arredamento, giochi di luce che si riflettono su soprammobili e altri dettagli simili, poi, solo alla quinta frase, annunci che ci sono tre soldati al centro della stanza con i fucili puntati contro il protagonista, le cose vanno male. I soldati sono apparsi dal nulla grazie a una magia? Il protagonista si era drogato o ubriacato prima di entrare?
Qualunque persona sana di mente (e anche moltissimi pazzi) baderebbe immediatamente allo stimolo pericoloso e, solo dopo, ad eventuali altri dettagli (anche se nell’agitazione del pericolo, probabilmente, non potrebbe descriverceli con grande minuzia: il filtro delle informazioni lo fa concentrare sullo stimolo più importante…).
Questo è un esempio limite: più o meno tutti reagiremmo così di fronte a un pericolo di morte. Ma esistono situazioni dove è proprio la personalità del protagonista a decidere a quale, tra due stimoli ugualmente importanti, dare la propria attenzione. Preferisce fare soldi o divertirsi? Gli piacciono le femmine o i maschi? Preferisce leggere romanzi o seguire lo sport? Usando in modo adeguato il filtro delle informazioni puoi rispondere a queste e a migliaia di altre domande senza mai dichiarare nulla direttamente, ma selezionando i dettagli giusti.
L’accomodatore delle informazioni
Quanto detto finora, però, non basta. Il punto di vista non si limita a selezionare i dettagli, ma li modifica e li accomoda al modo di pensare del protagonista. In soldoni, lo stesso identico stimolo, fornito in condizioni uguali a due persone diverse, verrà percepito in modo diverso.
Nello specifico, nella scrittura di una storia, questo ha conseguenze sul linguaggio e sulla sintassi utilizzata. Banalmente, possiamo mostrare le conoscenze del personaggio con il giusto uso del lessico. Lo stesso protagonista di prima potrebbe vedere tre soldati che gli puntano addosso dei grossi fucili. Oppure tre marines americani con dei fucili calibro dodici stretti in mano. O addirittura il capitano Carlos e le sue due guardie del corpo, se li conosce di persona.
Oltre alle conoscenze del protagonista sugli stimoli, possiamo mostrare il suo atteggiamento. Un carabiniere può essere un angelo in divisa, un maiale o semplicemente un carabiniere, in base all’opinione che il protagonista ha delle forze dell’ordine.
Giocando sulle contraddizioni tra i pensieri (giudizi) del protagonista e le sue azioni e parole, puoi anche mostrare altre sue qualità, ad esempio quanto sia onesto, manipolatore o ipocrita.
Per finire, la personalità e la storia del protagonista influenzerà il linguaggio e la sintassi in generale. Se vuoi mostrare un personaggio ignorante magari (se scrivi in prima persona) potrebbe appiattire i congiuntivi sull’indicativo, o usare termini sbagliati per definire concetti specialistici di cui non sa nulla. Questi cambi possono anche mostrare, in contrasto, la vera personalità del protagonista e il suo atteggiamento “simulato”, che cerca di far percepire agli altri. Uno strumento che ci permette di scrivere in modo immersivo le vicende di attori, bugiardi, schizofrenici e di chiunque, consapevolmente o meno, cerchi di sembrare chi non è davvero.
Immersione è comprensione
A questo punto, però, può emergere un problema. Il protagonista conosce informazioni che il lettore non sa, e riconosce al volo cose e situazioni che per il pubblico sono nuove e incomprensibili. E, mentre le vede, difficilmente rispiegherebbe a se stesso cose che conosce già benissimo.
Mia madre entra in casa. Da giovane lavorava nell’inquisizione del tempio, ma dopo l’attentato al mausoleo della magia, è stata congedata dato che è una mezz’elfa. Ora fa la consulente, ma le manca la vita di prima.
Questo passaggio è orribile: sembra che il protagonista stia spiegando la vita di sua madre a qualcun altro, invece sta pensando in silenzio. A meno che non vuoi fare un gollum con due personalità (ma in questo caso: carica di più i tratti da dialogo interiore con due voci distinte), è una pessima idea.
Ma allo stesso modo, riferirsi continuamente a cose incomprensibili per il pubblico, sarebbe comunque un disastro. Il lettore per immergersi nel protagonista, deve essere lui. E se non capisce quello che il protagonista capisce, si rompe l’immedesimazione.
Prendo l’apritore e lo infilo nel bio-inoculatore. Giro la vite e le connessioni digrignano i denti e sputacchiano una poltiglia giallastra. Scuoto la testa: “Midollo cinese… beh, se non altro ora è chiaro cosa devo fare…”
Fantastico: è chiaro per il personaggio (che apparentemente è… un tecnico? Un chirurgo? Una persona in preda ad allucinazioni? Boh…). Ma per noi, così, senza contesto, un po’ meno.
Certo: le cose sarebbero diverse se sapessimo anche noi cosa sono un apritore, un bio-inoculatore, le connessioni con i denti, il midollo cinese e, soprattutto, qual è l’obiettivo del protagonista in questa scena.
La coreografia: la base della narrativa immersiva
Come far capire al lettore le cose che il protagonista conosce, senza spiegoni innaturali? Gestendo la coreografia della scena. I nuovi oggetti ed elementi conosciuti dal protagonista sono introdotti in modo organico, partendo da dettagli naturali da notare che, al contempo, comunichino cosa sia effettivamente quella cosa.
Se il protagonista entra nel laboratorio della scuola e vede uno degli studenti che impugna l’apritore per la canna e mulina l’impugnatura per aria, come una clava, già abbiamo una mezza idea della forma “fucilosa” dell’apritore, comunicata in un contesto a cui il protagonista baderebbe. O magari nota che le lame dell’apritore sono consumate e che usarlo sarebbe come fare l’operazione con un paio di forbici con la punta arrotondata, e comunichiamo subito una forma diversa. Con questi procedimenti possiamo mostrare altri dettagli su come è fatto, a cosa serve, come funziona e magari quali pericoli o vantaggi comporta.
Si possono inserire addirittura spiegazioni dirette, se possono sposarsi armoniosamente con la scena. Magari il protagonista sta spiegando qualcosa a un altro personaggio (uno degli studenti?), o magari è anche lui nuovo a questo oggetto (in entrambi i casi alterna spiegazioni ad azioni, per evitare di distruggere le palle al lettore).
Farla semplice è complesso
Gestire questa coreografia non sempre è semplicissimo, ma… è proprio la difficoltà maggiore che incontriamo quando scriviamo o produciamo narrativa in generale. Fare cose che sembrano naturali, semplici e organiche, è un lavoro complesso. Costruire la coreografia migliore per la tua scena, quella in cui tutti gli elementi diventano evidenti in modo naturale e ogni azione è la conseguenza necessaria della precedente, è la differenza tra una storia che sembra vera, e una traballante, incoerente ed episodica.
A volte ti accorgerai che quello che volevi comunicare è molto più difficile di quanto ti aspettassi, e forse hai bisogno di elaborare una coreografia diversa. Ma altre volte troverai delle soluzioni inaspettate che emergono spontaneamente dalla necessità di rispettare il punto di vista. Il che, se hai letto i vecchi post sulla scrittura, dimostra come punto di vista e flusso delle informazioni siano strettamente legati, quando produciamo narrativa immersiva.
Esercizi
Abbiamo visto come comunicare cos’è un apritore restando dentro il punto di vista. Allenati facendo la stessa cosa per l’obiettivo e gli ostacoli del protagonista, e anche per il bio-inoculatore e le altre buffe parole utilizzate nel passo. Fai finta che il tuo esercizio sia l’incipit di una storia (non puoi dire “lo spiego nel capitolo prima”: scrivi il capitolo prima!).
Ovviamente la scelta di quali siano le motivazioni del protagonista e cosa siano gli aggeggi strani è tua (se non riesci a inventare nessun aggeggio magico/fantascientifico: ripassa questo post sulle cose fantasy).
Punti bonus se riesci a comunicare un abbozzo di personalità e di storia del protagonista mentre vede, interagisce e ci “spiega” cosa siano le macchine e creature bizzarre con cui ha che fare.