Il Marchese De Rays è stato un avventuriero, esploratore e truffatore francese che, grazie a un effetto domino, ha creato involontariamente una colonia italiana in Australia. Come è successo?
Indice dell'articolo
Worldbuilding e truffatori
Ma iniziamo con un’introduzione per chi vuole scrivere o inventare mondi (se non te ne frega niente, salta direttamente al prossimo paragrafo. O continua, sono comunque argomenti interessanti).
Qualcuno potrebbe chiedersi cosa c’entrano criminali e truffatori con il worldbuilding, un attività che sembra prediligere perdere tempo su biologie bislacche ispirate ad animali estinti, tecnologie assurde prese da film o ricerche scientifiche, sistemi magici e nani.
La risposta breve sarebbe: rileggete i post sul worldbuilding, perché vi sono sfuggiti alcuni concetti importanti. Come il fatto che un mondo inventato è un sistema, dove ogni elemento influenza gli altri, o il fatto che si parte da dettagli fighi, presi da storielle o fatti che ci interessano, e si procede in salita verso le cause che li generano. A volte basta partire da una singola bestemmia per generare un’intera religione.
Ma vediamo un esempio pratico su come storielle e cazzate nel mondo reale danno forma a culture e insediamenti.
Alla fine del post faremo un paio di esercizi su come, partendo da dettagli fighi presi da questa storia, possiamo elaborare what if originali in tempi tollerabili.
NOTA: il grosso dei dettagli di questo post viene dagli articoli “Une escroquerie à la colonisation : l’entreprise du marquis de Rays à Port-Breton” di Anne-Gabrielle Thompson, e “Utopian Fraud: The Marquis de Rays and La NouvelleFrance” di Bill Metcalf. Purtroppo non sono riuscito a trovare quasi nessuna delle fonti primarie a cui fanno riferimento (perlopiù testi francesi di fine ‘800), ma per fortuna gli autori hanno inserito un sacco di dettagli interessanti.
Marchese De Rays, avventuriero romantico
Charles Marie Bonaventure du Breil nasce il 2 gennaio 1832, nel maniero di famiglia in Bretagna. Il padre è l’ultimo marchese di un’antica famiglia nobile, monarchico e cattolico, in un paese che sembra in fermento. Il suo antico castello e altri possedimenti sono stati distrutti durante la rivoluzione da una folla di contadini incazzati e, nonostante non sia povero, è ben lontano dalla ricchezza sfrenata del passato.
Charles, da grande, racconterà che da bambino ha incontrato una chiromante che gli ha predetto il futuro. La donna gli dice che è destinato a grandi cose, a governare una terra lontana dove i derelitti possano trovare giustizia. Ah, e che salverà l’anima a un sacco di negri, facendogli conoscere Cristo. Che bella profezia.
Nel 1838 papà du Breil muore e il piccolo Charles eredita casa, soldi, possedimenti e il titolo di marchese De Rays. Ma a differenza del babbo, le fattorie della Bretagna gli stanno strette e, appena adolescente, come i più grandi eroi dei giochi di ruolo, decide di diventare un avventuriero e parte per un lungo viaggio attraverso Stati Uniti, Africa e sud est asiatico, dove si improvvisa cowboy, commerciante di noccioline e di altra frutta esotica.
Non so quanti Punti Esperienza abbia accumulato, ma di certo non riesce a tirare su un soldo. Torna in Francia col portafogli parecchio alleggerito e, nel 1869, si sposa e mette su famiglia. Amministra possedimenti ereditati dal padre e inizia a rassegnarsi a una vita monotona e lussuosa da vecchio nobile di campagna.
Un nuovo affare
Ma durante l’estate del 1870 succede la catastrofe. La Francia entra in guerra contro la Prussia. Senza annoiarci con dettagli storici, la Francia è nella merda fino al collo. L’imperatore non è molto amato. Buona parte della popolazione vorrebbe una repubblica laica e borghese, e un’altra fettina più radicale vorrebbe creare l’unione sovietica con quasi 100 anni di anticipo. Senza contare che la Prussia ha un esercito della madonna e i francesi no.
Il marchese De Rays, memore del suo passato monarchico e cattolico decide di dare una svolta alla sua esistenza: scende in guerra e mette in pericolo la sua vita per combattere per ciò in cui crede…
No, scherzavo. Decide che questo è il momento perfetto per fare un sacco di soldi alle spalle dei creduloni.
Alla caduta dell’imperatore, la Francia diventa sempre più anticlericale e un sacco di monaci e sacerdoti, spaventati dall’idea di pagare le tasse di essere aggrediti, decidono di farsi missionari e andare a predicare la buona novella in posti con meno fucili e cannoni.
Il marchese nota che buona parte dei missionari partono per il sud est asiatico e l’Oceania, delle regioni poco esplorate dagli europei, che però sembrano promettere grandi ricchezze con le loro piantagioni di frutti tropicali e la manodopera a basso prezzo.
Aprono vere e proprie “agenzie viaggi” che aiutano religiosi, migranti e fuggitivi a raggiungere colonie nella zona, dove potranno iniziare una nuova vita. Altre si limitano a raccogliere fondi tra i più ricchi per investire nelle piantagioni o in altre attività redditizie nel nuovo nuovo mondo.
Il marchese pensa che fare una cosa del genere sarebbe un’ottima idea. Ma perché raccogliere soldi e abitanti per una colonia altrui, quando può farlo per la sua colonia personale?
Port Breton, o la Nuova Francia
Il marchese De Rays presenta il suo progetto nel 1877, con annunci sul giornale. Dice di cercare investitori e coloni per finanziare e popolare Port Breton, o la Nuova Francia, una colonia dove i veri valori francesi, come la pace, la monarchia e la fede, sono ancora i pilastri della società. Una colonia senza guerre, rivolte e comunardi che distruggono le chiese. “Comprate i diritti per un ettaro di terra a solo 5 franchi!” (circa 40 euro, oggi).
Il piano attira subito le attenzioni di giornalisti e investitori, e l’idea di una Francia vecchia scuola senza repubblica, ministri anticlericali e operai in assetto da rivolta piace a molti che iniziano a investirei propri soldi nell’impresa.
Al marchese De Rays manca solo una cosa per creare la sua Nuova Francia: la terra. Un dettaglio che ovviamente non ha inserito nei suoi annunci pubblicitari, ma su cui lavora tutto il giorno.
Chiede al governo inglese di concedergli una fettina di Australia, nella giungla impenetrabile del Queensland, ma la corona rifiuta. Ci riprova con il governatore della Nuova Caledonia, un’isoletta persa nel Pacifico, ma picche di nuovo.
A questo punto, inizia a comprare mappe, studiare la legge e intervistare marinai di ritorno. Scopre che ci sono porzioni di territorio, negli arcipelaghi attorno alla nuova Guinea, che non sono mai state rivendicate da nessuna nazione europea. Il che vuol dire, ovviamente, che possono essere sue.
Rivendica un pezzetto di nuova Guinea e le isole che gli stanno davanti (oggi sono chiamate Nuova Bretagna e Nuova Irlanda, a quei tempi non so). Non si chiede il motivo per cui nessun governo super imperialista le abbia mai reclamate (o forse se lo chiede e se ne frega della risposta: il marchese era chiaramente un delinquente, non un idiota).
Il Marchese De Rays, o il re della Nuova Francia
In ogni caso, il Marchese si autoproclama Re Carlo I di Port Breton, nella Nuova Francia, e apre sedi per la sua impresa coloniale in diversi porti tra Francia e Olanda. Nel 1879 si instaura un nuovo governo a Parigi, che porta avanti riforme anticlericali. Monaci e contadini fieramente cattolici vedono una speranza nell’impresa della Nuova Francia.
Il marchese rilancia e pubblica articoli e manifesti dove spiega lo stato della colonia e cosa aspetta a chi vuole partire. La capitale della Nuova Francia sarà Port Praslin, una città con un albergo dove i viaggiatori potranno alloggiare gratuitamente per una settimana per riprendersi dal viaggio, prima di essere condotti alle loro abitazioni già costruite sul luogo. Si parla anche di strade, negozi, cattedrali e un sacco di altre belle cose. Purtroppo Port Praslin è un insenatura naturale completamente priva di esseri umani o qualsivoglia costruzione, su cui sorge una foresta tropicale paludosa non attraversabile dagli uomini, ma in compenso molto comoda per le zanzare malariche che infestano la zona. Ma questi sono dettagli che per ora non serve scrivere nel materiale pubblicitario.
La campagna pubblicitaria
La pubblicità, anzi aumenta sia per volume che per livello di cazzate. Il marchese, inoltre vanta di essere Console di Bolivia, titolo puramente onorifico che ha guadagnato durante le sue avventure giovanili, e arriva a pubblicare un breve libro e una rivista mensile per descrivere le meraviglie della Nuova Francia. Un posto pieno di roba da mangiare esotica, dove la produzione di zucchero, noci di cocco e frutti di mare renderà tutti grassi e ricchi.
A difesa dei polli, c’è da dire che a fine ‘800 stavano davvero sorgendo molte colonie in Oceania, dove gli abitanti tiravano su somme esorbitanti per l’epoca, dandosi al commercio di queste primizie.
Il marchese inizia a girare per la Francia e fare conferenze e discorsi pubblici. Mentre è nelle campagne del sud, fieramente cattoliche e infastidite dal governo repubblicano, sottolinea l’aspetto religioso della faccenda e vanta di avere ricevuto la benedizione, per la sua impresa, da vescovi, cardinali e addirittura dal papa.
“Miei signori: i monaci hanno fondato la vecchia Francia, e fonderanno anche la nuova…” dice in un discorso pronunciato a Marsiglia.
Preme sempre, perlopiù, sul raccogliere fondi piuttosto che coloni. Il che ha senso, dato che la sua colonia non esiste davvero. Ma la sua idea ha un tale successo che a un certo punto è costretto a mettere su per davvero una spedizione.
La prima spedizione
Il marchese sta vendendo così tanta terra che decide di aumenta il prezzo per ettaro fino a 50 franchi, il decuplo di 2 anni prima. Utilizza parte dei soldi incassati per comprare una vecchia barca che fa rimettere a nuovo e battezza Chandernagor.
Ma ben presto si rende conto che un’impresa del genere è troppo grande per una persona sola. E quindi inizia a mettere su una vera e propria gang di truffatori che lo aiutino nel suo progetto. Li recluta ovviamente tra le sue prime vittime, tramite uno schema Ponzi ante litteram, garantendo una percentuale sugli investimenti che avrebbero raccolto.
Tra i tanti brillano Titeu de la Croix, vecchio compare di avventure giovanili, che viene nominato viceré e governatore di Port Breton, e Schenini, un truffatore milanese che convincerà trecento contadini tra Veneto e Friuli (soprattutto da Treviso) ad abbandonare casa e trovare la morte in un posto orribile. Stando a questo articolo (che cita un libro che non ho trovato), Schenini sarebbe comasco, non milanese, e avrebbe servito durante le guerre di indipendenza sotto Garibaldi.
In ogni caso, Schenini e altri agenti reclutano un centinaio di persone tra Italia, Francia e Germania. La nave è pronta, ma qualcosa va storto.
Le autorità francesi, al momento, sono occupate a sedare rivoltosi monarchici, comunisti, e cristiani, e non hanno proprio tantissima voglia di aggiungere carne al fuoco. Ma questa storia della Nuova Francia puzza di truffa e, tanto per essere sicuri, negano il passaporto a qualunque colono che voglia partire per questa nuova terra. Divieti simili vengono adottati in Italia, e molti aspiranti migranti si vedono rifiutare il passaporto.
Il capitano di terra
Il marchese De Rays fa spostare la nave in Olanda, ma le autorità del luogo, sull’esempio dei francesi, bloccano tutto. Buona parte dell’equipaggio si accorge che c’è qualcosa di molto strano in questa impresa e decide di abbandonare. A questo punto, il nostro eroe ha un colpo di genio: capisce che può partire lo stesso se è disposto a trasgredire la legge. E lui è dispostissimo.
Assume una ciurma priva di esperienza, e McLaughlin, un ex ufficiale senza un singolo giorno di esperienza in mare, come capitano della nave. Torna a Parigi con la sua armata Brancaleone, falsifica un atto di vendita dove afferma di aver passato la sua nave a un magnate americano (inesistente) e issa bandiera statunitense. Inoltre assegna uno stipendio simbolico ai suoi coloni, in modo che, stando alle leggi del tempo, non contino più come coloni, ma come manovali assunti per lavorare i possedimenti privati del marchese in Nuova Guinea.
Il 24 settembre 1879, prima che le autorità francesi riescano a vederci più chiaro, il Chandernagor parte alla volta della Nuova Francia.
L’arrivo nella Nuova Francia
Il 16 novembre il Chandernagor arriva a destinazione, con parecchi uomini in meno tra disertori che hanno abbandonato il viaggio durante le fermate nei porti e i morti di malattia. 17 uomini scendono in anticipo in un isoletta dell’arcipelago Lughlan, decisi a stabilirsi lì, ma senza perdere i contatti con l’insediamento in Nuova Francia.
Il viaggio continua fino alla baia di Port Praslin. Non ci sono case e il luogo è chiaramente un inferno verde e miserabile, così il capitano gira un po’ lungo la costa e approda assieme ai coloni nella baia di Likiliki, un po’ meno paludosa e inospitale (ma non troppo).
Però, il viceré De la Croix e i mariani sulla nave non sono tanto convinti di voler restare in un una giungla dimenticata da dio e dal demonio e, dopo un paio di giorni, prendono il largo (ovviamente tenendo a bordo una buona metà di provviste e quasi tutte le medicine).
A onore di McLaughlin e della sua incompetenza criminale, c’è da dire che il capitano resta assieme ai coloni invece di seguire i marinai fuggiaschi. Ma questo non fa una grande differenza.
L’inferno verde
Questa novità scuote profondamente i coloni, tanto che sei prendono una delle barchette usate per portare le provviste dalla nave, e piuttosto che restare su quell’isola infernale affrontano l’oceano, dove incontrano una morte orribile. La simpatica truffa del marchese inizia a trasformarsi in un film horror. Ma le parti brutte devono ancora arrivare.
L’isola non è completamente disabitata: ci sono diverse tribù indigene, alcune delle quali praticano il cannibalismo. Uno dei coloni, riporterà con un nota di ironia: “Possiamo considerarci fortunati per il fatto che non ci fosse, al nostro arrivo, un bel gruppo di cacciatori di teste selvaggi ad accoglierci. Anche perché i cacciatori di teste, qua, sono abbastanza svegli da non costruire un accampamento in una palude come questa.” In ogni caso avvengono diversi scontri con la popolazione locale e qualche colono ci lascia la pelle.
Tre mesi dopo il Chandernagor arriva a Sidney, in Australia, forse alla ricerca di provviste da riportare ai coloni abbandonati. Ma la nave è priva di documenti e autorizzazioni. Senza contare che batte una bandiera americana falsa, visto che il console statunitense a Sidney, scopre che il contratto di vendita è falso e declina ogni responsabilità sulla nave.
Ma la ciliegina sulla torta è De la Croix, il coraggioso governatore che ha abbandonato i suoi sudditi, che ha il genio di riferire alle autorità australiane che quell’isola a est della nuova Guinea, ora è Port Breton, o la Nuova Francia, una nazione indipendente. Questa storia non piace alle autorità del luogo.
La seconda spedizione
Ma torniamo in Europa, dove le notizie di questa tragedia non sono ancora arrivate. Il marchese De Rays è stato processato per la spedizione non autorizzata ma è riuscito a farla franca. Compra una nuova nave usata, la Génil, e sposta le sue operazioni a Barcellona per evitare ulteriori problemi con la legge. Di nuovo, assume in fretta e furia un equipaggio di delinquenti e disertori senza particolare esperienza o desiderio di andare a vivere in culo al mondo (dal loro punto di vista, eh) e invia una nave con soli 30 coloni, guidati dal capitano Rabardy.
Il capitano, questa volta, ha una discreta esperienza in mare, ma è un uomo violento e taciturno che non aiuta a sedare tutte le perplessità dei coloni e dei mariani. Alle lamentele risponde con calci e torture. Parecchi passeggeri fuggono durante le fermate nei porti, e nell’agosto 1880, quando la Genil arriva nella Nuova Francia, ci sono solo 4 coloni.
La nave viene però accolta in festa dai coloni abbandonati dal Chandernagor sopravvissuti. Venti persone sono morte di stenti e malaria, e i quaranta rimasti pretendono di essere portati in Australia o in qualunque posto civile ci sia nelle vicinanze.
Rabardy, allora, ordina ai coloni di aspettare e inizia a esplorare le spiagge circostanti, alla ricerca delle città prospere descritte dal marchese. Potete immaginare da soli come sia finita questa ricerca.
Problemi legali per il marchese De Rays
In Europa iniziano ad arrivare ritagli di quotidiani australiani che parlano della truffa della Nuova Francia. Ma nessuno gli dà importanza per ora.
Il marchese De Rays, invece, nonostante le notizie terribili, decide di aprire società commerciali per gestire il flusso di beni e prodotti in arrivo dalla Nuova Francia… flusso che ovviamente non esiste, ma questo gli permette di accedere a finanziamenti pubblici distribuiti dal governo francese, e di avere un’aura di credibilità e autorevolezza maggiori.
In compenso arrivano nuovi problemi legali. Schemini ha reclutato 350 contadini italiani e, in mancanza di una terza nave, sono fatti alloggiare in uno squallido edificio senza servizi o letti a sufficienza. Le autorità di Barcellona intervengono e vogliono che l’assembramento di stranieri finisca.
Al contempo, il console del Cile, allertato dal titolo di Console di Bolivia del marchese, chiede che le navi vengano sottoposte a controlli per verificare che non contengano armi e munizioni da mandare ai ribelli in Sud America.
Il governo francese, per finire, lo denuncia di nuovo per aver inviato spedizioni irregolari. La fine per il marchese sembra vicina.
Pierre de Groote, professionista in cazzate
Ma questa volta lo salva il suo ultimo acquisto nella gang, il dottor Pierre de Groote, medico e conferenziere di successo. De Groote inizia una campagna mediatica aggressiva, in cui denuncia qualunque giornale o cittadino provi a parlare male del marchese, e racconta un sacco di balle sulla ricchezza della colonia. Scuole, strade asfaltate, fabbriche per lavorare la canna da zucchero e, perché no, pure una miniera d’oro.
Al ritorno del Chandernargor annuncia che non c’è solo una colonia, ma addirittura tre, grazie alla fondazione di Likiliki e dell’insediamento nelle Isole Laughlan. Pubblica un libro sulla nuova Francia e lo fa tradurre in tedesco, italiano e spagnolo, per convincere più gente a investire e partire per l’impresa.
Il marchese, intanto, riesce a oliare i meccanismi della giustizia e far cadere tutte le accuse pendenti sulla sua testa. Prosegue l’operazione di pulizia della propria immagine, tornando a premere sull’aspetto religioso. Dei missionari cacciati dalla Francia sono arrivati a Barcellona e il marchese De Rays riesce a convincerli a unirsi all’impresa, per “battezzare Port Breton con una chiesa”. O meglio, riesce a convincerne uno solo. Ma questo basta per la pubblicità.
La terza spedizione del marchese De Rays
Il marchese ha bisogno di una terza nave. Un suo amico ne ha una e ha bisogno di soldi. Ma invece di vendergliela, dice che gliela regalerà se lo aiuterà in una truffa assicurativa.
La nave, il Ferret, viene portata in mare durante una tempesta e fatta attraccare su un’isoletta al largo, lontana dai porti. Lì, manovali assunti dal marchese, la ridipingono e le cambiano il nome in India. L’amico ottiene i soldi dell’assicurazione per la sua nave “distrutta” nella tempesta e il marchese De Rays ha finalmente tutto quello che gli serve.
Il 9 luglio 1880 l’India salpa e parte la terza spedizione di De Rays, anche conosciuta semplicemente come la Spedizione di De Rays. E non la chiamano così perché sia andata meglio delle altre.
A bordo ci sono quasi 350 italiani e altri 100 coloni tra francesi e tedeschi. Il capitano Leroy è esperto e si è portato dietro un medico di bordo. Per una volta le provviste sembrano abbondanti e sono state caricate anche attrezzature agricole e industriali. Sembra la vera partenza per una vera colonia.
Ma il viaggio non va benissimo. Gli alloggi sono stretti e malsani, e a metà strada si scopre che buona parte delle abbondanti provviste sono avariate e non sono mangiabili. Alla fine arrivano undici coloni in meno di quelli che sono partiti. il che significa che, probabilmente, ne sono morti di più, visto che gli studiosi dicono che ci sono diverse nascite durante il lungo viaggio.
Arrivano in ottobre, proprio quando Rabardy è appena tornato dalla sua infruttuosa esplorazione dell’isola.
Dalla padella alla brace
I coloni vorrebbero sbarcare a Likiliki, dove gli uomini della prima spedizione hanno messo su un casermone che fornisce quantomeno un tetto. Ma Rabardy, che ha già visto quanto siano disobbedienti e miserabili i coloni di Likiliki, costringe i nuovi arrivati a sbarcare Port Praslin, come secondo i piani del marchese.
I coloni vengono praticamente messi ai lavori forzati per tirare su dei ripari. Ben presto iniziano ad esserci furti tra i due insediamenti che, nonostante la miseria comune, e la presenza di indigeni ostili, trovano comunque tempo di farsi la “guerra” (cioè risse e scaramucce. Nessuno ammazza nessuno. Tranne la malaria, la fame, le infezioni, i cannibali e un sacco di altra roba, ovviamente).
A proposito dei cannibali: ho trovato pochissime fonti primarie in proposito. Da quanto ho capito nell’isola di Nuova Irlanda c’erano molte tribù diverse e alcune praticavano il cannibalismo o erano comunque molto aggressive.
I coloni, durante la loro orribile permanenza, in ogni caso hanno intrattenuto anche rapporti commerciali e pacifici con diversi gruppi che abitavano già l’isola, come si vede da alcune foto (come quella qui sopra) e dal racconto un missionario.
Verso la Nuova Italia
Nel frattempo la marina militare inglese, allertata dal governatore di Sidney, manda una nave a curiosare in questo fantomatico regno. Ma invece di città e porti, trovano una manciata di uomini nudi e magri come scheletri che sono fuggiti da Likiliki e sono andati a cercare la civiltà più a nord. Li raccolgono e, mentre li scortano a Sidney, notano questi due nuovi insediamenti a Likiliki e port Praslin, in posti che definiscono insalubri e adatti giusto a ospitare un magazzino più che delle città.
E non a caso i coloni appena arrivati iniziano a morire come mosche, a partire dai bambini e dai più deboli. Il missionario inviato da De Ray convince Rabardy a fare rotta verso Sidney per cercare delle provviste e delle medicine e, giusto per essere sicuro, decide di andare anche lui. Anche Prevost, il nuovo governatore designato da De Rays dopo la fuga ingloriosa di De La Croix, decide che non è il caso di restare assieme ai coloni e che è meglio che vada a Sidney anche lui.
Appena arrivato, però, si sente male e non se la sente di ripartire. È passato più di un mese dalla partenza e la nave, prese le provviste, riparte. Ma si rompe e resta bloccata in Australia.
Nella colonia è rimasto solo il capitano Leroy con la sua nave e i coloni prima lo pressano poi iniziano a minacciarlo perché vogliono essere portati via dal cacatoio in cui sono stati cacciati.
Dopo 48 coloni morti di stenti il capitano Leroy cede e decide di evacuare le due colonie che vengono abbandonate da quasi tutti gli abitanti.
Ma la sua nave è una bagnarola e, nonostante i numerosi morti, ci sono tantissimi coloni, poche provviste e pochi marinai. La nave va presto in avaria ed è costretta a fermarsi in Nuova Caledonia, in una colonia penale.
Dopo mesi di negoziazioni con le autorità inglesi e australiane i coloni vengono caricati su una nave e nell’aprile 1871 finalmente arrivano a Sidney.
La quarta spedizione
Più o meno negli stessi giorni, da Barcellona, parte la quarta e ultima spedizione del Marchese De Rays. Questa volta a capo della nave c’è il capitano Henry che, perlopiù, trasporta missionari e religiosi.
Il marchese De Rays è sempre più con l’acqua alla gola. Le notizie dell’esito disastroso della colonia iniziano ad arrivare in Europa, il governo francese gli revoca il titolo di console di Bolivia e chiede alla Spagna di consegnarlo.
Ma De Rays vanta appoggi con il papa e con dei cardinali ed effettivamente ha ricevuto l’incarico di instaurare chiese in melanesia e micronesia da parte di importanti missionari. La Thompson, nel suo articolo, dice che nonostante i toni celebrativi verso il papa e i sacerdoti, il marchese avesse delle opinioni molto diverse sulle autorità religiose nelle sue lettere private, ma non specifica nulla purtroppo.
Schiavisti e pirati e cannibali
La quarta spedizione arriva a destinazione e scopre che ci sono solo due accampamenti praticamente deserti, ma molto ostili l’uno contro l’altro, e l’unico rimasto a dirigere la questione è il capitano Rabardy, che nel frattempo si è messo a dare la caccia agli indigeni per rivenderli come schiavi.
Vista la situazione il capitano Henry decide di andare a Manila per fare provviste. Ma durante le precedenti spedizioni i capitani hanno accumulato un notevole debito nella città e, quando le autorità scoprono che Henry lavora per il marchese De Rays, lo arrestano e sequestrano la sua nave.
I missionari che lo avevano accompagnato abbandonano il progetto e decidono di tentare la fortuna a Batavia.
Il capitano Henry, invece, con una mossa degna di Jack Sparrow, evade durante una tempesta, ri-ruba la propria nave e scappa verso la colonia con le provviste.
Quando arriva scopre che i coloni stanno continuando a morire e a non collaborare. Il capitano Rabardy, durante le sue scorrerie tra gli indigeni, ha ritrovato il signor Buoro, un sopravvissuto della prima spedizione, uno dei sei pazzi che piuttosto che restare nella Nuova Francia avevano affrontato l’oceano in una barchetta.
Stando alla testimonianza di Marie Niau, sopravvissuta alla terza spedizione, gli uomini dopo la tentata fuga in barca, approdano su un’isoletta piena di cannibali che uccidono e divorano i poveracci appena arrivati. Buoro viene graziato perché i suoi pianti e singhiozzi di disperazione sembrano comicissimi ai cannibali, che decidono di tenerlo come schiavo. Gli danno da mangiare carne umana e se lo portano dietro come buffone. Lo vendono a un’altra tribù, che poi viene catturata dagli schiavisti che decidono di liberare Buoro (la tratta dei bianchi è molto malvista dalle autorità inglesi e spagnole).
Ma, dopo un anno in condizioni del genere, il povero Buoro è diventato un pazzo farneticante, e muore pochi mesi dopo.
La fine della Nuova Francia
In ogni caso Rabardy inizia a rendersi conto della portata delle sue gesta e del fatto che se finirà nelle mani delle autorità, gli faranno un culo così. La situazione quindi precipita quando arriva una nave da guerra spagnola, da Manila, a caccia della nave del capitano Henry, e una nave Australiana da Sidney, giunta dopo essere stata allertata dai coloni sopravvissuti alla terza spedizione.
I pochi superstiti vengono caricati e portati in Australia. Il capitano Henry viene arrestato, e Rabardy si suicida, o forse viene avvelenato da uno dei coloni in cerca di vendetta.
Le navi del marchese, assieme a tutto il carico, vengono sequestrate dalle autorità australiane e la truffa viene rivelata in tutto il suo orrore dai giornali.
La fine del marchese De Rays e di tutti gli altri
Per finire, nel febbraio 1882 il marchese De Rays viene arrestato e portato in Francia, dove lo processano. Sul banco dei testimoni sale anche Pierre de Groote, l’ex amico che, in cambio della libertà, rivela al giudice un sacco di dettagli sui crimini del marchese De Rays.
Dopo un lungo processo, il marchese viene condannato a soli sei anni di carcere, dato che riesce a sfuggire alle varie accuse di omicidio colposo, dato che le morti si sono consumate in… non si sa bene dove, ma di certo non in Francia.
Pierre de Groote, per evitare ritorsioni dai parenti delle vittime, scappa in America dove tenta di mettere su una nuova truffa… ma viene subito beccato e scappa in Belgio, dove muore in povertà nel 1890.
Invece il marchese De Rays esce di prigione nel 1888 e tenta di nuovo la fortuna facendo lo gigolo tra le donne d’alta classe e provando a vendere all’esercito polvere da sparo tagliata con sabbia. Ma falliscono entrambe le imprese. Muore povero, in un ospizio, nel 1893. Ma oltre ad aver causato un sacco di morti e sofferenze inutili, la sua impresa ha avuto qualche risvolto inaspettato.
I missionari arrivati a Batavia, si riorganizzano e aprono una missione in un’isola vicino a Port Praislin che ha notevole successo ed esiste tutt’oggi.
I coloni arrivati in Australia, invece, si stabiliscono lì. Le autorità vorrebbero spargerli per le varie città, ma un nucleo consistente di italiani decide di vivere assieme e costruisce un villaggio nella foresta a nord nel New South Wales. Decidono di chiamarlo Cella Venezia, visto che sono quasi tutti veneti. Ma gli australiani non sanno bene come pronunciare questo nome e convincono i coloni a cambiarlo in New Italy.
Il villaggio resiste per oltre mezzo secolo finché, alla fine degli anni quaranta, non si spopola del tutto. Oggi c’è un museo con la storia della truffa del Marchese e di varie famiglie di contadini veneti emigrati in Australia. Il nipote di uno di loro ha celebrato la terribile truffa del marchese e le sue inaspettate conseguenze sulla geografia e sulla composizione sociale australiana con una canzoncina.
Truffatori e worldbuilding: metodo PRO
Ah, che bella storia. Ricorda un po’ quella di Gregor McGregor, ma è comunque una miniera di idea se volessimo scrivere un racconto o un romanzo. Il marchese non è un buon protagonista: non ispira molta empatia. Ma potrebbe essere un ottimo cattivo, con qualche aggiustatura. E, d’altra parte, ognuno dei coloni potrebbe essere il protagonista di una grande storia senza molte difficoltà.
Allora vediamo come rendere le cose più difficili, aggiungendo elementi fantasy e fantascientifici. Nel farlo, useremo il metodo PRO: prima idee idiote (pirla), poi critica spietata (rompiballe) e infine trovare le soluzioni migliori (opportunista). Sarà divertente.
P(irla): idee e dettagli fighi
Iniziamo con la trama più ovvia: una storia di sopravvivenza dove i poveri coloni sono abbandonati a loro stessi in un ambiente ostile. Se volessimo declinarla dal punto di vista fantascientifico sembrerebbe semplicissimo: il marchese promette una nuova vita in un mondo paradisiaco che, invece che essere in un altro continente è su un altro pianeta. È banale e idiota, ma è un punto di partenza.
Mi piace un’idea alla The Martian o alla Factorio, dove il protagonista deve costruire/riparare un’astronave e abbandonare il posto orribile dove ha lottato contro la natura aliena per sopravvivere. Niente di originale, ma ok.
I coloni hanno bisogno di un mezzo per lanciare roba o persone nello spazio ed eventualmente commerciare con la Terra. Ci sono molti modi realistici per farlo, ma non sono molto bravo in scienza missilistica e meccanica orbitale, in compenso mi piace l’idea della Pirlite, un materiale per cui la forza di gravità newtoniana funziona al contrario.
Mi piace anche l’idea di mega cannoni in stile La Luna è una severa maestra, che possano sparare beni nella stratosfera e in orbita, e che possano essere riadattati per lanciare persone o esplosivi.
Visto che siamo nello spazio pensiamo anche agli alieni. Mi piacerebbe avere una fauna da cui puoi mungere risorse strane, tipo mucche che invece di latte fanno benzina, o allevamenti di anguille per alimentare una rete elettrica, non lo so. E magari degli alieni con delle società primitive, ma subacquee, poco compatibili con i coloni.
Potrebbero esserci anche dei sopravvissuti a una precedente spedizione truffaldina, che vogliono uccidere i coloni appena arrivati e derubarli, o sacrificarli sull’altare del marchese nella speranza che torni a prenderli.
R(ompiballe)
Ovviamente tutte le idee proposte sono banali, vaghe, incompatibili e, in breve, da buttare. Vediamo perché.
Tralasciando la banalità dell’assunto, e tutte le puttanate che ne derivano (perché diavolo viaggiare in un’altra galassia per fare una colonia agricola con gente non specializzata? Sono scemi?), passiamo ai dettagli. Mandare un tizio in nave per due mesi costa una briciola rispetto a caricarlo su un razzo e mandarlo nello spazio. Chi manderebbe dei balordi poveri e impreparati in un’impresa del genere?
E poi arrivano in un pianeta proprio uguale alla terra? Perché, al di là della pericolosità del posto, avere un pianeta uguale alla terra sembra una roba che può interessare più alle autorità che a un truffatore. Perché nessuno lo ha mai colonizzato davvero, se è una cosa possibile?
La Pirlite, poi, è un’idea balorda e ha un nome stupido. Oltre a rompere ogni legge della fisica, cambierebbe radicalmente come funzionano i trasporti e gli spostamenti, in modo imprevedibile e sicuramente poco realistico.
Altre rotture di balle
I cannoni alla Heinlein forse sono l’unica idea decente, ma solo perché è rubata para para da un libro di Heinlein, e sarebbe triste se l’unica cosa bella in un’opera originale fosse un’idea non originale.
L’idea della fauna da cui mungere carburante l’hai presa sicuramente da rimworld, visto che lo hai usato per le immagini, ed era già un’idea vista mille volte quando il gioco è uscito. Senza contare che non ha senso: perché creano benzina? Per fare un favore ai coloni arrivati dallo spazio? Come fanno a crearla, poi? Mangiano petrolio?
Gli alieni subacquei, oltre a non essere per nulla interessanti, sono semplicemente inutili ai fini della trama.
Per finire: se ci sono dei sopravvissuti perché non sono scappati come farà il protagonista? Sono tutti stupidi? E poi non è che una religione o un culto nasce nel giro di un mese: questo non è un episodio di Community! Perché dovrebbero fare sacrifici umani?
O(pportunista)
Possiamo risolvere molti problemi. Fanculo la realtà: tutto il sistema solare è abitabile. Tutti i pianeti hanno fauna, flora e atmosfera compatibili coi bisogni umani, più o meno. E non ci serve un intero pianeta senza abitanti. Se i coloni vengono scaricati su Marte, a centomila chilometri dalla colonia più vicina, sono fottuti comunque. Ma possiamo inventarci senza problemi motori a muoni o roba del genere anche per colonizzare i moltissimi pianeti simili alla Terra che ci sono in questa versione della galassia. Talmente tanti che un pianeta paludoso e malsano non interessa a nessuna superpotenza.
Il grosso degli spostamenti spaziali è facilitato dalla pirlite, che rende molto più economici i decolli. La pirlite, ovviamente, viene usata in un sacco di altri ambiti, dal creare veicoli volanti, a gru per sollevare oggetti pesanti. Magari il protagonista dovrà costruire un veicolo di pirlite per fuggire dal pianeta assieme agli altri coloni. Ma visto che gliene serve tanta, inizia a raschiarla dalle gru e da altre attrezzature simili che la contengono. (Continuate voi a pensare coma la pirlite influenza altri aspetti della vita umana, come la comunicazione, gli sport e gli intrattenimenti in generale, e le relazioni sociali). E, a proposito, sì: pirlite è un nome stupido. Chiamiamola Levrite.
Anche gli animali potrebbero servire a qualcosa del genere. Magari ci sono delle meduse volanti che si spostano soffiando con ghiandole piene d’aria. Volano perché assorbono la levrite nell’atmosfera e attraverso i polmoni, la pelle o qualche organo apposito.
Altre risposte, e pulizia
La levrite, naturalmente, dovrebbe andare nello spazio e allontanarsi dalla superficie del pianeta, ma magari una piccola quantità resta “impigliata” tra le nuvole e precipita giù durante le piogge? Boh, qualcosa del genere: comunque queste meduse se la pappano e la mettono nei loro tessuti.
Quindi il protagonista capisce che può cacciare queste creature e studiare un modo per sintetizzare la levrite dai tessuti. Magari ha un aiutante scienziato, esperto di questa roba? Che altri animali o piante potrebbero assorbire la levrite? Forse degli alberi altissimi, ma col tronco fino, che non crollano perché hanno le foglie piene di levrite?
E per finire i sopravvissuti. Potrebbero essere dei fanatici religiosi. Il marchese, magari, invece di fare pubblicità tra i cattolici, ha convinto una setta di balordi ad andare nel nuovo mondo? Questo non giustificherebbe i sacrifici umani, ma magari sono dei super puritani anti-tecnologici che non approvano i tentativi del protagonista di costruire un’astronave di pirli… ehm levrite. Magari tentano di distruggerla, ma qualcuno nella tribù, invece, è titubante e forse il protagonista lo convincerà a passare dalla sua parte. Può funzionare.
Per finire: fanculo i cannoni gravitazionali e gli alieni pesce. Sembrano inutili per il nostro mondo e non vedo motivi per affrontare i problemi che comportano.
Il marchese De Rays ci aiuta a scrivere meglio
Non voglio dire che questa ambientazione sia un capolavoro. Né tantomeno, che sia pronta così com’è. Ma questo è stato il lavoro di poco più di trenta minuti (compreso il tempo per scrivere i paragrafi relativi). Con un po’ più di impegno, possiamo iniziare a creare un’ambientazione profonda, ricca di dettagli interessanti.
E quella che abbiamo visto, poi, è solo una possibilità, partendo da questa storia. Potremmo decidere che il protagonista deve accettare il suo nuovo posto lì e smetterla d’impazzire dietro un piano di fuga impossibile. Magari in un’ambientazione del genere gli indigeni ci sono più utili. E la levrite non ci serve più.
Oppure potremmo scartare i pianeti e scegliere un’ambientazione diversa, come il regno delle fate, o una qualche dimensione dove si arriva come proiezioni cosmiche di animali e si perde il proprio corpo umano.
O magari decidiamo di scrivere una storia con il marchese come protagonista, cambiandolo da truffatore spietato in una specie di don Chisciotte spaziale.
Le possibilità sono infinite. Occhio a non scegliere quelle che vi portano in una palude piena di cannibali e malaria.