Yoshie Shiratori è passato alla storia come il re delle fughe dai carceri. Ma la sua vita ha anche gettato luce sul sistema penale giapponese, sulla corruzione delle guardie e sulla violenza degli agenti. Qual è la sua storia, e come ha fatto ad evadere di prigione usando della zuppa di miso?
Indice dell'articolo
Il piccolo Yoshie Shiratori, tra tofu, granchi e gioco d’azzardo
Yoshie Shiratori nasce nella provincia di Aomori, all’estremo nord del Giappone, nel 1907. Si sa poco della sua infanzia e della sua vita in generale, al di fuori delle sue fughe da film.
Il padre muore nel 1910 per una malattia, e lascia la famiglia senza un soldo. La madre si risposa e si trasferisce a vivere col nuovo marito, mentre il piccolo Shiratori viene cresciuto dalla zia.
Per un po’ lavora con la zia nel suo negozio di tofu, ma i soldi sono pochi e ben presto Shiratori è costretto a cercarsi un’attività più redditizia. Viene assunto come marinaio su un peschereccio di granchi. Il lavoro è duro, ma Shiratori è un tipo grande e muscoloso, e la paga è quasi decente. Compiuti vent’anni, Shiratori si sposa e fa una figlia.
Ma purtroppo non ha fatto i conti con la Grande Depressione: la crisi economica colpisce il Giappone e Shiratori si ritrova senza lavoro. In compenso ha iniziato a giocare d’azzardo. Per pagare i debiti di gioco si dà al crimine. Rapina i magazzini portuali e diventa sempre più bravo a scassinare le serrature.
Ogni tanto viene beccato e rinchiuso per qualche giorno nelle celle della stazione di polizia. Ma riesce sempre ad evadere.
La prima fuga
La moglie di Shiratori non approva la nuova attività del marito e un bel giorno prende sua figlia e scappa di casa. Yoshie Shiratori non ha più niente da perdere a intensifica le sue attività criminali. Nel 1933, assieme a un complice rapina un magazzino, ma vengono beccati da una guardia. Dopo uno scontro la guardia viene uccisa e i due ladri scappano.
Iniziano le indagini e due anni dopo, nel 1935, Shiratori viene arrestato. L’accusa è furto e omicidio. Il giudice lo fa sbattere in prigione in attesa del processo. Shiratori sosterrà per tutta la sua vita di non aver mai commesso questo reato e di essere stato torturato e minacciato dalla polizia durante l’interrogatorio.
Al di là della veridicità delle sue dichiarazioni, viene rinchiuso nel carcere di Aomori, un edificio tra le montagne a nord del Giappone. Il carcere, stando alla descrizione di diversi detenuti, è una struttura orribile. Pavimenti gelido, prigionieri legati come salami e costretti a cagarsi addosso, e ovviamente numerose guardie sadiche e violente.
Shiratori si lamenta con le guardie e con il direttore delle condizioni del carcere. In tutta risposta riceve pestaggi dai secondini. Un anno dopo, nel 1936, Shiratori è ancora in questo bellissimo carcere, in attesa di essere processato. L’accusa insiste perché venga condannato a morte. Per Shiratori resta solo una possibilità per farla franca: la fuga.
L’evasione dal carcere di Aomori
Yoshie Shiratori inizia a studiare la routine delle guardie carcerarie. Nonostante lo zelo nel torturare i detenuti, i secondini non sembrano molto svegli e seguono sempre lo stesso percorso negli stessi tempi, senza cambiare mai. Al mattino, alle 5.30, c’è sempre un periodo di circa quindici minuti in cui non c’è nessuna guardia nell’ala del carcere dov’è rinchiuso Shiratori.
Il nostro eroe, durante una delle rare docce, riesce a staccare da uno dei secchi dell’acqua un pezzo di fil di ferro usato per tenere gli assi attaccati. È uno scassinatore esperto, e col fil di ferro riesce a realizzare un grimaldello rudimentale con cui potrebbe aprire la serratura. Ma sa che uscire dalla sua cella è solo il primo dei moltissimi passi che lo dividono dalla libertà.
Il carcere è grande e ben sorvegliato. E fuori dalle mura, oltre al paesino vicino al carcere, lo attendono delle montagne coperte di neve a vista d’occhio. Non proprio il luogo migliore per una fuga a piedi mentre ti rincorrono decine di poliziotti.
Shiratori, allora, inizia a staccare le assi del pavimento della sua cella. Al mattino le rimette a posto e copre l’operazione col suo futon. Tutto questo, non per scavare un buco per fuggire (sotto al legno c’è solo roccia dura). Ma per avere abbastanza materiale per creare un manichino.
Il mattino dopo, il 20 giugno 1937, sistema gli assi sotto le coperte del suo futon in modo che sembri che qualcuno ci stia dormendo. Prende il suo grimaldello, scassina la serratura della cella ed esce. Dopo aver scassinato un’altra porta e aver scavalcato una recinzione, Yoshie è libero.
Le guardie dentro al carcere vedono il manichino di legno che “dorme” nel futon e non segnalano la fuga fino a molte ore dopo. Yoshie ne approfitta per fuggire.
La seconda fuga
Le torture in carcere e il gelo hanno distrutto il corpo di Shiratori. Ferito e ammalato si rende conto che se non riceve cure immediate non finirà bene. Dato che è ricercato non può andare in ospedale. Ma visto che è un ladro può rubare garze e medicine e provare a curarsi da solo. Purtroppo per lui, essere un genio della fuga non significa necessariamente essere un genio del crimine in generale.
Così, tre giorni dopo la sua incredibile fuga, Shiratori si fa beccare da un poliziotto mentre cerca di rapinare una farmacia. Viene riconosciuto, arrestato e rinchiuso in carcere di nuovo. Questa volta, vista la tentata fuga, viene condannato all’ergastolo.
La polizia lo rinchiude nel carcere di Kosuge, a Tokyo, un posto non proprio allegro, ma decisamente meglio dell’inferno ghiacciato di Aomori, e con guardie molto meno stronze. Qui fa amicizia con Kobayashy, un capo delle guardie anziano e rispettato, che lo tratta umanamente.
Passa circa cinque anni in questa struttura finché, nel 1942, viene trasferito nel carcere di Akita, un altro orrore di ghiaccio, torture e lavori forzati. Le guardie sanno della sua precedente fuga e gli preparano un’accoglienza particolare. Lo tengono sempre in manette (tolte solo durante i pasti e i lavori forzati). E lo rinchiudono in una speciale cella di isolamento con pareti lisce e senza finestre. L’unica fonte di luce è un solaio sul soffitto della stanza, circa tre metri più in alto, chiuso da sbarre metalliche, che lascia anche entrare il freddo, la pioggia e la neve.
Yoshie Shiratori: l’arrampicatore del carcere di Akita
Yoshie Shiratori è un criminale e probabilmente un assassino, ma di certo conosce le buone maniere. Chiede di parlare col direttore delle condizioni inaccettabili della cella. In tutta risposta viene nuovamente picchiato a sangue dalle guardie.
Shiratori, di nuovo, capisce che l’unica soluzione è fuggire da questo posto orrendo. Durante i lavori forzati riesce a occultare un pezzo di filo metallico. Durante la notte lo usa per togliersi le manette. Le pareti della cella sono lisce, ma abbastanza vicine.
Shiratori si puntella con le gambe a una parete e le mani a quella opposta e si arrampica. Le sbarre metalliche del lucernaio sono troppo spesse per essere segate. Ma sono infilate in una cornice di legno e le piogge frequenti hanno iniziato a marcirlo. Notte dopo notte, Shiratori si toglie le manette, si arrampica, passa il tempo a scuotere le sbarre e, prima del mattino, torna giù, si riammanetta e finge di aver dormito tutto il tempo.
Per aiutarsi a distruggere la cornice più velocemente si mangia le unghie in modo da renderle appuntite e le usa a mo’ di sega sul legno.
Dopo due mesi di lavoro, la cornice si rompe. Ma Shiratori non fugge subito. Aspetta una notte di tempesta, in modo da coprire il suono dei propri passi. La notte del 15 giugno 1942, si arrampica, attraversa il tetto del carcere, scavalca il muro e fugge.
Tre mesi dopo, il 18 settembre 1942, Shiratori è a Tokyo. È stanco di fuggire e ha un piano. Vuole costituirsi presso il ministero della Giustizia e denunciare ai ministri le orribili condizioni dei carceri e il sadismo delle guardie. Ma è un prigioniero ricercato per rapina e omicidio e ormai ha imparato che le autorità tendono a a non credergli. Ha bisogno di un alleato.
Bussa alla casa di Kabayashi, la vecchia guardia che lo aveva trattato bene e gli chiede aiuto. Con la sua testimonianza, forse, riuscirà a convincere l’opinione pubblica che non sta mentendo. Kobayashi, da buon amico, chiama la polizia e lo fa arrestare.
La terza fuga
Shiratori chiede di essere chiuso nel carcere di Tokyo, per via del clima. Il giudice lo sbattere nella prigione di Abashiri, qualche centinaio di chilometri più a nord di quella di Aomori. Una prigione da cui non è mai fuggito nessuno. Anche se in compenso qualche centinaio di detenuti è morto durante i lavori forzati.
Shiratori viene di nuovo rinchiuso in una cella “a cielo aperto”, col pavimento che si ghiaccia quasi ogni notte, e lasciato sempre con manette alle mani e alle caviglie. La zuppa che gli portano da mangiare spesso arriva con la superficie congelata, le guardie lo maltrattano quotidianamente, e lui perde la sua buona educazione e risponde con insulti e minacce. Che aumentano la sua dose di pestaggi.
Una notte, durante un litigio con una guardia, la addita dicendo che è solo questione di tempo prima che fugga e inizia a strattonare le proprie manette. Per lo stupore della guardia dopo qualche minuto di lotta riesce a spezzare la catena che unisce i bracciali con la sua forza bruta. Ma l’unico risultato che ottiene è di far incazzare i secondini ancora di più.
Viene rinchiuso in una cella la cui porta ha solo una serratura esterna. Le sbarre alla finestra sono avvitate in una cornice di ferro, che non può marcire. Le manette e le cavigliere normali vengono sostituite con dei bracciali di ferro da venti chili, senza serratura, che non gli permettono di reggersi in piedi. Un fabbro viene alla prigione una volta ogni due o tre mesi per smontarle e permettergli di lavarsi. Oltretutto i bracciali, stretti e luridi, gli provocano delle ferite ai polsi e alle caviglie, che si infettano velocemente.
Fuggire di prigione con della zuppa di miso
Con questo nuovo trattamento Shiratori sembra perdere la sua determinazione. Non risponde più alle guardie con insulti e non compie più tentativi di fuga. Ma sotto la facciata della sconfitta sta elaborando un nuovo piano. Ci sono due versioni diverse su come sia riuscito a liberarsi dalle manette e a rompere la cornice delle sbarre.
Secondo la versione ufficiale avrebbe usato i denti per svitare i bulloni che bloccavano le varie parti metalliche. Ma la versione non ufficiale, corroborata dai racconti di Shiratori e da molti quotidiani, è molto più leggendaria e merita di essere riportata.
Ogni notte, durante la cena, Shiratori avanza un po’ di zuppa di miso e la rovescia sulle manette e sulla cornice delle sbarre che chiudono lo spioncino della porta.
La zuppa di miso è molto salata. E un ex marinaio come lui che se si lascia il ferro esposto all’acqua salata per abbastanza tempo si arrugginisce e finisce col rompersi. Dopo due mesi di lavoro e pazienza riesce a togliere i bulloni dalle manette e svitare le sbarre. Il problema è che l’apertura sulla porta è troppo piccola per far passare un uomo normale.
Ma è ormai ovvio che Shiratori non è un uomo normale. La notte della fuga, si disloca le spalle, passa attraverso l’apertura, se le rimette a posto, e si arrampica sul tetto della prigione. Da qui fugge e riesce a far perdere le proprie tracce. Shiratori è finalmente libero.
L’ultima fuga di Yoshie Shiratori
L’Hokkaido, la regione fredda e montuosa dove si trova la prigione, non è un posto ospitale. Ci sono pochi paesi nei pressi della prigione e la polizia li controlla tutti. Ma di Shiratori non c’è traccia. Dopo un anno, la polizia si convince che sia morto di freddo durante la fuga e chiude le ricerche.
Quello che non sanno è che Yoshie Shiratori sta vivendo in una grotta come un uomo primitivo. Ogni settimana si avvicina a uno dei villaggi dove ruba del cibo e si rifugia di nuovo in montagna. Questo nuovo stile di vita prosegue per due anni, finché nel 1946 non ruba un quotidiano e scopre che la guerra è finita. Il Giappone si è arreso e forse ha problemi più grandi che cercare un criminale come lui.
Decide di tornare alla civiltà e inizia a viaggiare verso sud. Arrivato a Sapporo viene beccato da un contadino mentre ruba delle angurie. I due si scontrano e alla fine Shiratori lo accoltella.
Le indagini portano velocemente al suo ritrovamento e all’arresto. Shiratori afferma di aver accoltellato il contadino per legittima difesa, visto che lo stava prendendo a bastonate. Il giudice non gli crede e lo condanna a morte.
Shiratori viene chiuso nel carcere di Sapporo in attesa della condanna. Il direttore del carcere, visto il curriculum del suo nuovo ospite, dà degli ordini speciali. Sei guardie si alternano in modo da sorvegliarlo ventiquattr’ore su ventiquattro. Le pareti e il soffitto della cella vengono rinforzate con sbarre di acciaio inossidabile e le finestrelle e gli spioncini sono più piccoli della sua testa, in modo da non farlo passare.
La cella è talmente sicura e a prova di fuga che dopo qualche giorno le guardie non si disturbano più ad ammanettarlo. E già da questo potete capire come finirà questa storia.
Il tunnel
Yoshie Shiratori riesce a staccare un pezzo di secchio dalle docce e a nasconderlo. Durante un interrogatorio vede un chiodo che sporge da una parete e, fingendo di cascare a terra, riesce a staccarlo e nasconderlo senza farsi scoprire.
Il direttore ha fatto rinforzare il soffitto e le pareti del carcere, ma si è dimenticato di un dettaglio importante. Il pavimento è composto da assi di legno direttamente sopra le fondamenta e le infiltrazioni umide hanno iniziato a rovinarlo.
Durante la notte, Shiratori sposta il futon e utilizza il pezzo di secchio e il chiodo per segare gli assi di legno del pavimento. In un mese riesce a realizzare un buco abbastanza grande per finire nelle fondamenta. La notte del 7 marzo si dà alla fuga. Scende e inizia a scavare nella terra sottostante usando le sue mani e un piatto rubato alla mensa. Nel giro di poche ore il tunnel è pronto.
Shiratori prende gli assi tagliati e li sistema nel futon in che sembri che stia dormendo, e si getta nel tunnel. Si arrampica sul muro del carcere e salta giù. È inverno, e la neve attutisce la caduta. Shiratori si rialza e, per la quarta volta, fugge dai carceri giapponesi.
Fumare fa male
Yoshie Shiratori diventa un vagabondo che gira di città in città. A causa del boom edilizio del dopoguerra, in Giappone c’è un gran bisogno di muratori e carpentieri. Gli imprenditori pagano poco, ma almeno non sono schizzinosi con la mano d’opera e non gli fanno domande sul suo passato.
Quando diventano troppo curiosi, Shiratori abbandona il lavoro, e si sposta in un’altra città. Ma ormai ha più di quarant’anni e la vita da vagabondo non gli piace. Un giorno viene fermato dalla polizia. Un agente inizia a chiedergli informazioni sul suo lavoro. Shiratori è molto agitato e ha paura di essere scoperto. E il poliziotto (l’unico a non sembrare malvagio in questa storia) lo nota e gli dice di stare calmo. Cava di tasca un pacchetto di sigarette e gliene offre una.
Le sigarette, nel dopoguerra, sono un bene di lusso, raro e costoso. Shiratori se la fuma di gusto e poi, commosso dal gesto, confessa “Sono Shiratori, quello fuggito dal carcere di Sapporo.”
I poliziotti, stupiti, dopo qualche controllo si rendono conto che non sta mentendo e lo arrestano. Questa volta il processo va meglio. Shiratori si becca venti anni di carcere, ma l’accusa di omicidio viene derubricata come legittima difesa e il giudice accoglie la richiesta di Shiratori di non essere rinchiuso in una prigione ghiacciata. Finisce nel carcere di Fuchu, a Tokyo. Suzuki, il direttore del carcere, lo fa trattare umanamente, senza tenerlo in manette, o impedirgli di lavarsi e tutto le altre belle cose scritte nel post.
Shiratori sconta 13 anni di carcere prima di uscire in libertà vigilata per buona condotta.
La fine di Yoshie Shiratori
La vita di Shiratori, da qui in poi, prosegue abbastanza tranquilla, senza più crimini, arresti o fughe. L’ex moglie è morta da un paio d’anni e la figlia rifiuta di vederlo (a quanto pare avere un parente incarcerato era una stigmate sociale notevole nel Giappone di quei tempi e poteva addirittura costare il licenziamento).
Quotidiani e riviste parlano della sua impresa e lo rendono in certo senso un anti-eroe popolare. In un certo senso. Purtroppo il fatto di essere un ex carcerato non aiuta in nessuna parte del mondo, e probabilmente ancora meno nel Giappone del dopoguerra. Shiratori non riesce a trovare un lavoro stabile o a mettere su una vera e propria famiglia. Spende il resto della sua vita come vagabondo, passando da un lavoretto all’altro, perlopiù come carpentiere.
Alla fine, Yoshie Shiratori muore di infarto nel 1979, senza famiglia né parenti. Le sue ceneri vengono portate via da una donna con cui avrebbe fatto amicizia nei suoi ultimi anni, o forse durante la sua infanzia, ma non si conosce il nome.
L’eredità di Shiratori
Ma le imprese di Shiratori non svaniscono senza tracce. Giornali e opinione pubblica giapponesi iniziano a interessarsi sulle pratiche della polizia e delle guardie carcerarie. Il quadro che ne esce è quello descritto dal post: i carceri giapponesi sono dei buchi infernali dove si dà libera licenza di torturare i delinquenti. Inoltre l’incapacità della polizia di impedire le evasioni viene molto malvista.
Il sistema carcerario viene riformato, vengono fatti maggior controlli sull’operato delle guardie, che vengono anche addestrate meglio. Sembra essere una storia comune tra le guardie carcerarie giapponesi, il fatto che questi cambiamenti siano iniziati grazie alle vicende di Shiratori.
Inoltre Shiratori ha fatto molto per l’industria del turismo. I vari carceri di merda, troppo piccoli e troppo orribili per funzionare bene, chiudo e vengono trasformati in musei. E le imprese di Shiratori diventano l’attrazione principale. Nel carcere museo di Abashiri c’è addirittura una statua di Yoshie Shiratori, intento ad arrampicarsi sul tetto topo aver rotto manette e sbarre con la zuppa di miso.
Inoltre romanzieri e mangaka prendono ispirazione a piene mani dalle sue fughe. Lo scrittore giapponese Akira Yoshimura ha pubblicato un romanzo di successo sulla vita Shiratori, “Hakogu”, da cui hanno ricavato un film nel 1985. E il personaggio di Shiraishi, un genio della fuga che evade dal carcere di Abashiri nel manga e nell’anime Golden Kamuy, è stato basato su Shiratori.